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Se
chiedessimo a un campione di persone cosa verrebbe loro in mente
pensando al patrimonio dei beni culturali di una comunità, certamente,
nella stragrande mag-gioranza dei casi, le risposte porte-rebbero alla
creazione di una lista più o meno ricca di monumenti, siti archeologici,
chiese, palazzi, dipinti e sculture. Abituati, come siamo, a vedere e
toccare con mano, non tro-veremmo naturale, almeno in un primo momento, la
possibilità di annoverare fra i tesori da salvaguardare una lingua, un
dialetto locale o localissimo, un brano di mu-sica, una danza popolare, un
mestie-re, perfino l’uomo, con il suo baga-glio unico di conoscenze,
tradizioni, arti, mestieri. In altre parole, il patri-monio immateriale
dell’umanità, san-cito e riconosciuto dall’Unesco come bene da conservare e
proteggere attraverso il programma “Masterpie-ces of the Oral and
Intangibile Heritage of Humanity”, avviato dieci anni fa. E la Sicilia -
che in tema di cultura non si fa mai trovare impreparata - sul patrimonio
immate-iale ha organizzato perfino un festi-val. Tre province isolane a
metà novembre sono state testimoni di prestigiose e particolarissime
tradi-zioni popolari che hanno potuto rivivere nel corso dell’“Oral and Intangibile
Heritage Festival”. Una kermesse culturale dal sapore antico,
costruita attraverso suoni, canti, balli di un tempo. Ha aperto il festival
il Coro polifonico di Tirana che a Palermo, al Museo delle Marionette
“Antonio Pasqualino”, ha proposto una selezione di canti popolari a più
voci, simbolo di identità e
bene cul-
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turale immateriale del sud dell’Albania.
Agrigento ha fatto, invece, gli onori di casa proponendo al Museo
Archeologico l’“Opera dei pupi siciliana”. Uno spettacolo della tradizione
popolare che è stato ufficialmente inserito tra i beni im-materiali
mondiali riconosciuti dal-l’Unesco. Quindi, come da calen-dario, ci si è
trasferiti nuovamente nel palermitano, a Castelbuono: nella splendida
cornice della Matrice vec-chia hanno riecheggiato le note del “Canto a
Tenores” sardo, un auten-tico “documento storico”, un canto della memoria
ma con una irrefre-nabile forza contaminatrice sulle sonorità moderne. Ha
chiuso la ras-segna, al castello Maniace di Sira-cusa, il rituale turco dei
“Dervisci”: una suggestiva danza propiziatoria popolare intrisa di simboli
espressi attraverso un rigoroso linguaggio
del
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corpo.
C’è attenzione e interesse in
Sicilia per le espressioni della cultura immateriale,
appese spesso all’esile filo dell’esistenza di poche persone. Un fermento
che ha portato già due anni e mezzo fa alla creazione del REI, il Registro
delle Eredità Immateriali, istituito presso la Regione. Lo strumento di
tutela culturale si compone di cinque libri: i Saperi, le Celebrazioni, le
Espressioni, i Luoghi e i Tesori Umani Viventi. In essi sono elencati canti
e musiche, narrativa popolare (le
così dette tradizioni orali), feste e cerimoniali, lingue e parchi
letterari. Nel libro dei Tesori Umani Viventi, invece, troviamo i nomi di
persone in carne e ossa divenute esse stesse beni da tutelare perché
detengono antichi saperi, arti e tradizioni.
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