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     Accarezzato dal tiepido sole primaverile, il mare di Favignana si concede generoso in uno spettacolo inebriante fatto di scintillii e rivoli fiammati. Con i suoi colori sfavillanti, frutto di una mutevolezza mai doma, supera nella realtà ogni proiezione immaginifica, assumendo talvolta le sembianze di un’esperienza onirica. Con le sue goccioline che sembrano di cristallo, plasmate senza tregua dallo zefiro che annuncia la bella stagione in arrivo.

     E’ primavera. Così indica il calendario, smentito nei mesi precedenti da un inverno appena abbozzato. I tonnaroti, i marinai e le altre maestranze, dal mattino presto si  avvicendano con meticolosa frenesia sulle loro barche per gli ultimi ritocchi alla “gabbia della morte”. Nulla può essere affidato al caso. Niente può permettere distrazioni: il giorno della mattanza è il momento più importante e delicato di un inverno di lavoro. Il giorno in cui i pescatori vengono ripagati di mesi di sacrifici e rinunce. Le muciare, i barconi usati da generazioni per la pesca del tonno, hanno fatto quadrato attorno alle reti calate un mese e mezzo prima per cogliere di sorpresa i tonni. Sotto lo sguardo attento e severo del rais, un vero capo carismatico per i tonnaroti.

     Tutti gli anni i tonni passano al largo delle coste siciliane per venire a deporre le uova. Con l’esperienza tramandata da generazioni i pescatori conoscono i percorsi generalmente battuti dalle loro prede. E i tonni, disorientati da una serie di gabbie costruite con le reti, finiscono per entrare in un labirinto dal quale è impossibile uscire. Il percorso li conduce diritti all’ultima gabbia, definita con estrema forza semantica “della morte”.

     Il sole è ormai alto sull’orizzonte. Un tempo bastava un cenno del rais per dare inizio alle fasi di pesca. Oggi bisogna aspettare prima i turisti per la messa in scena dello “spettacolo” della mattanza. Perché tale può ormai considerarsi un appuntamento con un genere di pesca che per lungo tempo ha mosso l’economia di un’isola intera, ma che ormai ha dovuto lasciare il campo alle moderne tecniche della pesca industriale d’altura. E’ un’occasione per non far morire le sane e antichissime tradizioni siciliane. In particolare della provincia di Trapani e di Favignana che conservano gelosamente uno dei più importanti stabilimenti per la lavorazione del tonno, quello dei “Florio”. Favignana viveva attorno alla mattanza. L’orologio biologico dei suoi abitanti era sincronizzato con i ritmi della pesca più importante dell’anno.

     Niente è cambiato da allora. Se le leggi di mercato hanno contribuito a valorizzare tecniche di pesca più  ve-

 

ranno all’evento sulle   barche   messe  a   disposizione    dalla stessa cooperativa organizzatrice della mattanza.

     Assisteranno con il fiato sospeso e in punta di piedi a uno spettacolo che è allo stesso tempo cruento ed emozionante. Una sorta di corrida marinara. Con i tonni tirati su a “pelo d’acqua” attraverso le reti. Ma sono troppo grossi perché possano venir issati in barca. Bisogna arpionarli e con la forza di sei o otto braccia portati in barca. “Oissa, oissa,”: applauso. Dapprima si sentono soltanto le voci dei tonnaroti, guidati dal rais. Il pubblico non fa rumore: non vuole disturbare la concentra-zione dell’uomo che lotta contro il tonno. Poi l’applauso liberatore e le urla festanti.

     Folklore e spettacolo, si diceva prima. Ma fino a un certo punto. E’ vero che il tonno si pesca ormai in mare aperto, tuttavia quello che compriamo nelle scatolette al supermercato ha poco a che spartire con il pesce delle mattanze siciliane.  In  Sicilia, infatti,  si pesca il tonno di passaggio (dall’oceano al Mediterra-neo) per deporre le uova: in questa particolare fase le caratteristiche organolettiche del pesce sono impa-ragonabili per bontà e qualità a quelle dei tonni pescati in mare aperto. Va da sé, dunque, che oltre allo spettacolo sono garantite anche laute ricompense (i pescatori lo sperano) per la vendita dei loro pochi e per questo ricercatissimi tonni. I Giapponesi aspettano con trepida-zione, ogni anno, le mattanze trapa-nesi. Sono ghiottissimi dei tonni “siciliani” e quasi sempre riescono a farne man bassa. A suon di yen. Ma quest’anno diciamolo a bassa voce. Nella speranza che almeno qualche tonno rimanga a Favignana, così da poterlo poi gustare alla brace nei ristoranti del porticciolo.

Alberto Augugliaro

 

loci e redditizie, bandire la mattanza dal mare trapanese avrebbe significato sancire una chiusura irrevocabile con un passato talmente prestigioso da aver segnato profon-damente l’essenza culturale più intima di un’isola e della sua gente. Se la pesca del tonno con i metodi tradizionali non era più redditizia, si poteva sempre provare a sfruttare gli aspetti folkloristici della mattanza, proponendoli come ulteriore volano per il turismo. L’intuizione è venuta qualche anno fa a Chiara Zarlocco, una imprenditrice romana che aveva compreso sin da subito le nuove potenzialità della mattanza. Aveva così puntato su Favignana animata dal migliore spirito imprenditoriale. Ma ha finito per innamorarsi di Trapani e delle Isole Egadi. Indivi-duata e scelta in un primo momento solamente come strumento di produzione economica, la mattanza ha saputo donare anche a questa donna - allenata per professione a misurarsi con numeri e profitti - il suo caldo e abbacinante potenziale di passione. Se n’è talmente innamora-ta al punto che tutte le volte che può lascia Roma per andare a riappro-priarsi della vita in una terra inimitabile per calore e accoglienza.        

     “Ci siamo tutti? Si può iniziare”. Il si del rais è atteso come un momento liberatorio. E’ sufficiente un suo cenno con il capo per dare avvio alla festa del mare più importante dell’anno per tradizione e prestigio. Con i pescatori abbardati di tutto punto nei tradizionali equipaggiamenti. Stando alle stime degli organizzatori, l’edizione di quest’anno, in programma fra metà maggio e i primi di giugno, consterà di tre o quattro giornate di mattanza, con un pubblico complessivo di almeno duemila persone. I turisti, com’è ormai  consuetudine,       assiste-