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Quante volte sarà capitato a ciascuno
di noi di attraversare una strada ad un incrocio e di rivolgere uno sguardo
distratto alla targa con il nome della via. L’abbiamo fatto per orientarci
o più semplicemente senza una precisa ragione. Senza renderci conto che
proprio quel cartello vuol parlarci di uomini e vicende, di date e
avvenimenti, di maestranze e consuetuni, di famiglie nobiliari e
confraternite religiose, perfino di piante e di animali. Oggi andiamo
talmente di fretta che non possiamo più soffermarci su quello che è stato
il lento fluire della storia. Eppure su quelle targhe poste in
bell’evidenza all’inizio e alla fine di ogni via possiamo leggere il nostro
passato, arrivando a cogliere l’essenza più intima della città. E’ quello
che ha fatto Mario Di Liberto nel suo Le
vie di Palermo (Dario Flaccovio Editore, pag. 1000, euro 30),
raccogliendo in ordine alfabetico i quasi quattromila toponimi della città.
Un’opera monumentale che con rigore ci propone la storia di ogni strada,
presentando uno spaccato di Palermo a partire dai suoi illustri abitanti:
economisti, patrioti, scienziati, uomini di lettere e di diritto.
Informandoci su avvenimenti, storie di corporazioni, di maestranze, di
casati. Regalandoci di tanto in tanto degli anedotti sul modo creativo dei
palermitani di indicare i luoghi della propria città. Via Maqueda, nata
quattro secoli fa e ispirata ai modelli urbanistici “a croce” delle città
europee, è ancora chiamata la “Strada Nuova”. La via Francesco Crispi,
soprattutto per i più anziani, rimane la “via del Porto”. Mentre
difficilmente piazza Ruggero Settimo e l’altra vicina intitolata al Principe
di Castelnuovo vengono chiamate con il loro vero nome. Per tutti la piazza
è una sola: è quella del teatro, e si chiama piazza Politeama. (Al.Au.)