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Le verità assolute ed immutabili degli
dei, degli eroi immortali e dei padri fondatori della patria vanno in scena
a Segesta sulle millenarie pietre del teatro antico, là dove il tempo non
sembra rispondere alle leggi di natura. E l’intera vallata, dominata dal
tempio e dallo stesso teatro greco sul versante nord dell’acropoli, si
impone alla vista con la forza travolgente e ammaliante di un paesaggio
incantato. Come catturato nella immutabilità dell’atti-mo. Di là dalla
pianura il mare, porta del mondo, messaggero di conoscen-ze, anima
culturale, soffio vitale dei commerci, ma anche portatore di sventura,
guerra, morte. Sventura, guerra, morte. Figlie della guerra civile,
della disobbedienza, delle leggi non scritte, dello scontro di civiltà.
Della bramosia di potere che mette fratello contro fratello. Delle passioni
più infime e crude espresse dalla
peggior natura umana. Venticinque secoli fa come oggi. Ben lo
sapevano Eschilo e Sofocle che con i loro testi immortali scatenavano negli
spettatori quella spirale di emozioni che sempre sfociava nella catarsi. E
ancor oggi, sfidando il tempo, quei testi fanno vibrare le corde più
nascoste e sensibili degli animi. Perché il trascorrere dei millenni non ha
mutato il genere umano nella sua essenza più intima.
In
abiti contemporanei, con mimetiche e anfibi da militare – a riprova della
universalità del messaggio delle tragedie classiche, sempre attuale in ogni
epoca – Archivio Zeta, una giovane compagnia di autori e produttori
indipendenti, come amano definirsi,
ha messo in scena sulle pietre segestane i dissidi del potere, nelle
forme e nelle situazioni alle quali si erano ispirati i padri della
tragedia greca. Una maratona dall’alba al tramonto, con tre
rappresentazioni in grado di riprodurre il più ampio spettro dei sentimenti
e delle passioni, dalla infinita pena della guerra civile in “Sette contro
Tebe”, allo sconforto dei vinti - degli “altri” -
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in “Persiani”, passando per il dilemma tutto
interiore della disobbedienza e dell’ancestrale richiamo all’osservanza
delle leggi di coscienza - quelle non scritte - rappresentato in
“Antigone”.
In un
continuum spazio-tempo-rale è
andato in scena il “teatro nuovo”, quello che non ama scene e luci. E che
si pone come unico obiettivo il compimento di un “rito culturale” - come
scriveva Pasolini - attraverso la forza e il rigore della parola. Sulle
pietre, nude, immersi in una natura che è essa stessa spettacolo, è stato
celebrato il mito del teatro senza tempo attraverso la forza espressiva
della lingua che è innanzi tutto parola.
Attori, natura, testo e parole. Questo è il teatro che Archivio Zeta
ha voluto interpretare. Credendo in un progetto culturale al quale Gianluca
Guidotti ed Enrica Sangiovanni lavorano da otto anni come autori e
interpreti. Dando forma e vita al manifesto del loro teatro che è
compiutamente espresso nelle due parole che hanno scelto per dar nome alla
loro iniziativa. “Archivio”
perché il loro impegno è
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rivolto alla memoria umana. Una memoria che vive
e si perpetua: “zeta” – è vivo – veniva scritto, infatti, sui muri,
in Grecia, dagli oppositori al regime dei colonnelli quando un resistente
veniva ucciso.
Nel
2003 nasce il progetto “Linea Gotica”, memoria del passaggio del fronte e
della guerra civile di liberazione, del quale fanno parte le tre
rappresentazioni inserite nel cartellone di Segesta Festival 2007. Per
meriti culturali, didattici e artistici il progetto ha ottenuto l’Alto
Patronato dei presidenti della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, prima, e
Giorgio Napolitano, poi.
Nel
2006 Antigone – magnificamente riproposta in Sicilia in una tra le
più suggestive albe segestane, con il ritmo teatrale scandito dal sorgere
del sole - era stata rappresentata al cimitero militare germanico del Passo
della Futa, il più grande sacrario in Italia di vittime tedesche della
seconda guerra mondiale. Una scelta dal grande impatto emozionale, nel segno della continuità
della memoria. Che è viva.
Alberto Augugliaro
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